ADOLESCENZA E SCUOLA


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ADOLESCENZA E SCUOLA

Gli adolescenti possono essere educati?
Nicola Ghezzani *

 

Se il bambino è un mistero, l'adolescente è, per il mondo adulto, un mistero ancora più fitto. Essere plastico, ossia educabile, per definizione, il bambino rappresenta la natura umana nel suo versante 'positivo'. Ogni piccolo d'uomo nasce infatti con una dotazione sinaptica aperta e labile, sicché gli apprendimenti si imprimono nel suo animo con grande facilità. D'altra parte, ogni bambino ha anche caratteri specie-specifici (propri della specie umana) e individuali (propri del suo soma e del suo sviluppo personale) che la società adulta deve saper distinguere e rispettare, se non vuol correre il rischio di produrre alterazioni patologiche. Dunque, per quanto costruibile , il bambino pone limiti invalicabili : limiti biologici - di specie - e psicologici - individuali - che si impongono come mistero, come elemento 'sacro', inviolabile dal mondo sociale, che rappresentano pertanto il punto limite dell'acculturazione. Educare un bambino è dunque possibile solo nella consapevolezza di tali limiti ontologici .
Rispetto al bambino, l'adolescente rappresenta ai nostri occhi un vero e proprio salto di qualità: egli incarna la natura umana, per così dire, nel suo versante 'negativo'. L'aggettivo 'negativo' sta qui a significare che non solo il ragazzo e la ragazza hanno una spiccata individualità, ma che il più delle volte essa si pone come intrinsecamente contraddittoria, opposta al mondo adulto secondo stili e modi che possono risultare per l'adulto o irritanti o incomprensibili.
Questo singolare fenomeno ha radici sia biologiche che psicologiche. La stessa natura, la quale produce bambini educabili, promuove in specifiche fasi evolutive vere e proprie tempeste neurobiologiche che scombinano i precedenti apprendimenti e che, a livello psicologico, si esprimono in crisi di opposizionismo . L'adolescenza è la fase evolutiva umana maggiormente contrassegnata da queste crisi.

L'adolescenza come età dell'opposizione

Se la natura fornisce l'adolescente di questa singolare proprietà – di essere oppositivo, contrario, in-educabile – dobbiamo supporre che abbia le sue buone ragioni. Ebbene, lo scopo filogenetico, naturale, dell'impulso all'opposizione è quello di generare diversità. E la diversità si genera, innanzitutto, mediante negazione dell'identico, mediante rifiuto delle forme culturali acquisite nei processi di educazione tradizionali. La specie umana ha bisogno di creatività culturale e la ottiene promuovendo la dis-omogeneità, la dis-appartenenza, il dis-adattamento: in una parola, sfruttando la variabilità individuale . L'adolescenza rappresenta dunque lo snodo evolutivo nel quale l' opposizione prende il posto della quiescenza, la diffidenza quello della fiducia, la differenza quello dell'uniformità. La diversità umana è, dunque, un prodotto biologico specie-specifico che caratterizza ogni vita individuale. La psicoantropologia dialettica definisce bisogno di opposizione questo impulso naturale alla diversificazione individuale e lo pone come primum movens nella psicogenesi dell'identità. In quanto età critica, l'adolescenza si rivela come la fase privilegiata del manifestarsi del bisogno di opposizione.
L'adolescente pone dunque al mondo adulto un problema fondativo: esso incarna l' individualità allo stato puro , in virtù di un'opposizione talvolta 'irragionevole', priva di contenuti. Ciò che si manifesta nel singolo adolescente appare in modo ancora più visibile nei gruppi generazionali: essi forniscono il ragazzo di un'appartenenza labile, destorificata, che non risolve la sua intrinseca ricerca di significato. L'opposizione adolescenziale può manifestarsi come negazione sistematica di ogni tradizione e, dunque, come vuoto di valori , cosa che rappresenta per il ragazzo e per la società il rischio esistenziale massimo.

Una chiave per il dialogo

Per 'normalizzare' l'adolescente, la società incarica la scuola di approntare una 'cura'. Tuttavia, poiché uniformare le diversità è impossibile, la scuola non può fare altro che assimilare e trasmettere la cultura universalistica dominante, supponendo che possa funzionare come rimedio allo smarrimento giovanile. Il ricorso all'universalismo è per la scuola un riflesso condizionato: di fatto, la sua nascita risale all'epoca della formazione degli Stati nazionali, quando venne incaricata di impartire una 'cultura di base' alle masse popolari. Sicché tutt'oggi la scuola vede i giovani nei termini di una popolazione generica, da formare con criteri universalistici. Presa in questo abbaglio, tuttavia, la scuola fallisce, perché l'adolescente non solo è individuo, ma è anche diffidente , dunque poco o punto omologabile. Pertanto, configurare la scuola sul modello della Nazione, dello Stato, della Chiesa o del Partito porta al conflitto generazionale, perché l'adolescente chiede l'attenzione di un ascolto non conformistico. Fa, insomma, della fiducia una merce preziosa. Sicché una scuola omologante finisce per accentuare la sensazione tipica di ogni adolescente di essere incompreso e condannato per ciò che è - un individuo alla ricerca di significati personali -, ingenerando così nel suo animo fastidio, noia, demotivazione.
Un corretto rapporto fra insegnante e studente dovrebbe, dunque, privilegiare l'attenzione alla complessità individuale. In sostanza, se l'insegnante non coglie nel ragazzo la sua singolarità (la storia personale, le attitudini, le eccellenze e le carenze, la sensibilità, i gusti, le simpatie e le antipatie, le linee di forza che stanno già costruendo il suo destino…), il ragazzo rifiuterà di piegarsi alla conoscenza di nozioni valide per tutti, generali, quindi per lui astratte. Solo se avverte il rispetto per la propria individualità, il ragazzo consente di inserirsi in discorsi di portata generale. Il compito dell'insegnante dovrebbe essere, allora, quello di dare al ragazzo il suo 'giusto' valore. Ma il valore da conferire è in questo caso paradossale .
La capacità dell'adulto di drammatizzare , ossia di entrare con simpatia nel dramma adolescenziale, deve infatti accompagnarsi a una simmetrica capacità di sdrammatizzare , cioè di cogliere nel dramma adolescenziale le prassi ironiche, parodistiche, le inversioni ludiche dei valori, la richiesta di confronto e di smascheramento, che rappresentano, in sostanza, una verifica attiva dell'intelligenza dell'autorità, e che stanno alla base tanto della dialettica generazionale quanto della sperimentazione critica.
È su questo crinale che si pone la delicata questione della salute dell'insegnante . La variabile intermedia tra scuola e adolescenti è l'insegnante, il quale deve avere chiaro dentro di sé il tratto fondamentale dell'adolescenza: la diffidenza sistematica , il piacere dell'opposizione . Solo l'insegnante che sa sentirsi, senza piaggeria e spontaneamente, 'complice' del ragazzo può drammatizzare e sdrammatizzare il dato della sua diffidenza e di gruppi generazionali che sono parodie della realtà sociale dominante, gruppi il cui scopo è quello di ironizzare sulle strategie di conformizzazione sociale per trovare un senso e un posto al di fuori di esse.

*Psicoterapeuta e scrittore, co-autore della Psicoterapia dialettica . Tra le sue pubblicazioni ricordiamo Crescere in un mondo malato. Bambini e adolescenti in una società in crisi (Angeli 2004) e Autoterapia. Guarire la propria psiche con strumenti personali (Angeli 2005).

Sito www.psyche.altervista.org

 

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